C’è un punto esatto, sulle colline dolci di Pietrelcina, dove il tempo non si limita a passare: respira. Si adagia sulle pietre, tra gli ulivi antichi, e trova riposo nel profumo di pane, vino e memoria. In quel punto — che non è solo geografico — vent’anni fa nasceva un luogo che è oggi più che un ristorante. È un’idea di felicità. Si chiama Boda de Ciondro.
“Boda” racconta Antonio Maria Iadanza, fondatore e custode dell’anima di questo spazio, “era il nome della contrada. E Ciondro… un termine antico, popolare, ruvido, come le cose vere. Era un jazzo, una stalla estiva per gli animali. Abbiamo preso quel passato e lo abbiamo fatto rinascere come luogo di vita, di festa, di bellezza”.
Un sogno di famiglia, un destino scritto nella terra
La storia di Boda non comincia da una mappa, ma da un ricordo: “Ogni volta che venivamo qui, mio padre diceva: ‘Un giorno faremo una pizzeria’. All’inizio era solo una frase, un pensiero gettato nel vento. Poi, un giorno, arrivarono i finanziamenti. E quella frase divenne la nostra strada.”
Un investimento coraggioso, un salto nel vuoto con gli occhi pieni di visione. “La mia è una famiglia normalissima: mamma portalettere, papà geometra. Io studiavo Giurisprudenza. Ma quando ho capito che potevamo costruire qualcosa che restasse, ho lasciato tutto.”
Scelte, pietre, legni, ogni dettaglio pensato con mani giovani e cuore antico. L’aiuto dell’architetto Antonio Iannella, il contributo del padre, ma soprattutto “l’idea di creare un posto che non fosse solo da mangiare, ma da vivere. Un anfiteatro, uno spazio aperto dove si potesse ascoltare jazz e Miles Davis, mangiare bene, parlare, ridere… sentirsi a casa, ma in un altrove.”
Vent’anni di piatti, musica e occhi felici
Il 2025 ha segnato vent’anni di attività. Vent’anni di piatti che raccontano storie, di serate in cui il vino ha acceso ricordi, di ospiti che sono diventati amici: “La festa dei vent’anni è stata bellissima. C’erano una settantina di persone, tutti insieme… una cosa rara, un momento di comunione.”
Un momento per tornare indietro nel tempo, ma anche per guardare avanti: “Il Covid, per quanto doloroso, ci ha aiutato a riflettere. Abbiamo ripensato gli spazi, rinnovato, ritrovato lo slancio.”
Tra i ricordi più belli di questi due decenni? “Un compagno di scuola che mi scelse per il suo matrimonio. Era figlio di un architetto noto, lui stesso architetto… e mi diede fiducia. Lì ho capito che avevamo creato qualcosa di vero e di speciale”.
Una cucina che profuma di casa e di coraggio
La proposta gastronomica di Boda è un equilibrio perfetto tra tradizione e innovazione, un viaggio di gusto che rispetta la terra e osa con grazia.
“In paesi come i nostri, è facile conoscere la vera tradizione: sapori autentici e prodotti di primissima qualità. E poi basta guardare negli occhi le nostre madri, le nostre nonne. Noi cuciniamo pezzi di vita, non solo ingredienti”, mi dice Antonio con una passione incredibile.
Piatti come gli spaghetti con olio e pane, icona della semplicità perfetta, oppure i ravioli di cinghiale con colatura di alici di Cetara, il baccalà con rape e patate, e dessert che accarezzano il palato come ricordi d’infanzia. “Mia madre, quando uscivamo, portava sempre l’uovo sodo per il bimbo. Sai cosa significa? Che cucinare, da noi, è un atto d’amore.”
Una squadra, una famiglia allargata
Oggi Boda è guidata da un’organizzazione solida. Antonio è il fondatore, il sognatore iniziale. Ma la struttura si è ampliata: “C’è un direttore generale, Gianluigi Caruso, a cui devo tanto. Uno chef—mio cugino Patrizio, che ha viaggiato tra Australia, New York, Milano… E poi c’è l’amministratore, mio zio Antonio Iadanza”.
Un’orchestra che suona in armonia, dove ogni nota è necessaria, ogni gesto è pensato per costruire esperienze, non solo cene.
Un futuro con radici profonde e orizzonti larghi
E per i prossimi vent’anni? “Consolidare tutto quello che abbiamo fatto. E cominciare a guardarci intorno, fuori provincia, aprire a chi arriva da lontano, ma con lo stesso spirito di sempre”. Rispettando, cioé, la regola prefissata nel lontano 2005: “Volevo che la gente si sentisse bene. Che mangiasse bene, certo, ma soprattutto che si divertisse, che si sentisse parte di qualcosa”.
E così è stato. Boda de Ciondro è una poesia lunga vent’anni, scritta con la luce del tramonto sui muri in pietra, con i profumi della cucina che salgono come preghiera. È il luogo dove un ragazzo ha deciso di non fare l’avvocato, l’architetto o l’ingegnere, ma l’oste dell’anima. Boda è dove ogni piatto è una carezza, ogni bicchiere un ricordo, ogni nota jazz una promessa.
Eppure a due passi da Piana Romana e da Padre Pio, la scelta è stata netta: “Abbiamo deciso di non fare il ristorante per turisti. Abbiamo scelto di fare il ristorante per chi ha voglia di restare. Anche solo per una sera”, conclude Antonio salutandomi. E quella sera, ogni volta, è festa.